"Ero diventato membro di quella che in quei giorni era una specie di massoneria, la massoneria dei cinefili, quelli che chiamavamo malati di cinema. Io ero uno degli insaziabili, uno di quelli che si siedono vicinissimi allo schermo. Perché ci mettevamo così vicino? Forse era perché volevamo ricevere le immagini per primi, quando erano ancora nuove, ancora fresche, prima che sfuggissero verso il fondo, scavalcando fila dopo fila, spettatore dopo spettatore, finché sfinite, ormai usate, grandi come un francobollo, non fossero ritornate nella cabina di proiezione. Forse lo schermo era veramente uno schermo. Schermava noi, dal mondo."

lunedì 30 aprile 2012

Taxi Driver


Regia: Martin Scorsese
Sceneggiatura: Paul Schrader
Usa 1976, durata: 113 minuti

Vincitore della Palma d’oro al festival di Cannes del 1976, Taxi Driver rappresenta una straordinaria mescolanza dei generi hollywoodiani.
Il protagonista è un personaggio ibrido, un eroe fallimentare in bilico tra il cowboy e il gangster. Il western e il noir si fondono.
Travis è un reduce del Vietnam, un individuo insignificante, estraneo ad una società di cui non conosce i meccanismi, che non riesce a comunicare mentre assorbe tutta la violenza della vita metropolitana. Un John Doe postmoderno.
L’incipit è una dichiarazione di poetica iperrealista: fumo, colori saturi e degrado; un’evidente qualità pittorica dell’immagine, che viaggia dall’ordinario a una dimensione onirica, irreale.
L’uso del rallenty contribuisce a questo gioco di confusione visiva simbolica.
La capacità iperrealista di Scorsese si esprime nei momenti più quotidiani e statici del film, come nella conversazione assurda e totalmente surreale fra i due tassisti: il collega di Travis cerca di dare una risposta ad una domanda che non gli è stata posta. Si tratta di un contatto privo di una vera comunicazione.
La sceneggiatura traduce il racconto in riflessione esistenziale. Ma è una riflessione che non riesce a non apparire paradossale rispetto al reale.
Tra le inquadrature prolungate che insistono sull’attore, una New York allucinata e allucinante fa da scenario a questa tensione tra salvazza e perdizione, a questa lenta e inesorabile discesa agli inferi.

In una parola: straniante
Citazione preferita: “Io ho sempre sentito il bisogno di avere uno scopo nella vita; non credo che uno possa dedicarsi solo a se stesso, al proprio benessere. Secondo me uno deve cercare di avvicinarsi alle altre persone.”
Voto: 9
                      

1 commento:

  1. Complimenti Marta, mi piace tantissimo la tua recensione! Io amo Scorsese, lo trovo geniale. Grazie per avermi ricordato questo film!

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